Mondaino: rotondo, avvolgente, verde e musicale. Rotondo come la sua piazza, avvolgente come il calore e la generosità che la sua gente dimostra ai forestieri, verde come tutta quella macchia di campagna che si allarga intorno alle case, musicale come la presenza della fabbrica di fisarmoniche dei fratelli Galanti, la Banda municipale e da qualche anno la MYO – Mondaino Young Orchestra. Appena fuori dal paese, si trova un ex arboreto sperimentale della flora mediterranea: nove ettari di bosco con circa 6.000 piante e più di cento specie arboree.
Dal 1998, il patrimonio naturale dell’Arboreto è diventato un progetto culturale: un luogo di accoglienza e cura dei processi creativi della scena contemporanea; uno dei centri teatrali più importanti e riconosciuti in Italia e all’estero, in particolare per le residenze creative: ricerca e produzione di nuove opere; formazione professionale: trasmissione del sapere, relazioni fra maestri e nuove generazioni di artisti, operatori e spettatori.
Nel 2004, dentro il bosco come una grande foglia adagiata sul prato, è stato costruito un nuovo teatro, il Teatro Dimora; un laboratorio residenziale per definire nuove possibilità d’incontro e relazione fra gli artisti e il pubblico, riconoscendo in particolare ai giovani la necessità di interpretare il “diritto all’errore” come un fattore indispensabile per la propria crescita artistica e umana.
Residenza creativa per la ricerca e la produzione del nuovo spettacolo di Daria Deflorian e Antonio Tagliarini.
www.arboreto.org
Due classi delle scuole medie di Mondaino partecipano alla residenza creativa di Daria Deflorian e Antonio Tagliarini.
Per informazioni www.arboreto.org
Liberamente ispirato al film Il deserto rosso di Michelangelo Antonioni. Giuliana, moglie e madre, attraversa il deserto – in una scena davvero rosso – della sua vita senza che nessuno possa realmente toccarla, senza toccare davvero nessuno. Nemmeno l’incontro con Corrado, amico del marito, per tanti versi simile a lei, riesce a cambiare le cose. Poche le parole, alcune talmente belle da diventare proverbiali (“Mi fanno male i capelli”, la più nota, presa in prestito dalla poetessa Amelia Rosselli) e protagonista assoluto il paesaggio, una Romagna attorno a Ravenna trasfigurata dal regista (“ho dipinto la realtà” ha dichiarato all’epoca) in un mondo la cui malattia è anche la sua bellezza, in un cortocircuito di senso e di sensi che ancora oggi ci sbalordisce. La scelta è quella di essere cinque in scena, tre donne, due uomini. Prima di tutto per evitare il triangolo borghese, moglie-marito-amante, per avere la possibilità di lavorare liberamente attorno alla figura di Giuliana e infine per rispondere alla tensione anti-realistica del film.
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